MUSEI - MUSEUMS

Salvatore
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Museo

Il Museo del giocattolo tradizionale della Sardegna si trova a Zeppara, piccola frazione di Ales, in Sardegna. Nato da un lavoro di ricerca realizzato nel triennio scolastico 1993-1996, da alunni, docenti e collaboratori scolastici della locale scuola media statale, il museo fornisce una riproposizione fedele del gioco e del giocattolo tradizionale della Sardegna, organizzata per sezioni tematiche. Il Museo del Giocattolo Tradizionale della Sardegna, sito nel piccolo borgo di Zeppara, unica frazione del Comune di Ales (OR); è allestito all'interno dell'ex edificio delle scuole primarie ed è inoltre dotato di un laboratorio per la lavorazione del legno e la costruzione dei giocattoli. Il Museo è stato inaugurato il 14 dicembre del 2002 e nasce dalla volontà di recuperare, tutelare e valorizzare la memoria storica del giocattolo popolare della tradizione regionale.
Museo del giocattolo tradizionale della Sardegna
9 Via Vittorio Emanuele
Il Museo del giocattolo tradizionale della Sardegna si trova a Zeppara, piccola frazione di Ales, in Sardegna. Nato da un lavoro di ricerca realizzato nel triennio scolastico 1993-1996, da alunni, docenti e collaboratori scolastici della locale scuola media statale, il museo fornisce una riproposizione fedele del gioco e del giocattolo tradizionale della Sardegna, organizzata per sezioni tematiche. Il Museo del Giocattolo Tradizionale della Sardegna, sito nel piccolo borgo di Zeppara, unica frazione del Comune di Ales (OR); è allestito all'interno dell'ex edificio delle scuole primarie ed è inoltre dotato di un laboratorio per la lavorazione del legno e la costruzione dei giocattoli. Il Museo è stato inaugurato il 14 dicembre del 2002 e nasce dalla volontà di recuperare, tutelare e valorizzare la memoria storica del giocattolo popolare della tradizione regionale.
Il museo è dedicato all’esposizione di reperti archeologici provenienti dal territorio comunale di Cabras nella penisola del Sinis. Il periodo prenuragico e nuragico è documentato dai materiali recuperati con lo scavo del villaggio di Cuccuru is Arrius che ha restituito significative testimonianze a partire dal Neolitico medio. L’età storica è invece ben rappresentata da reperti provenienti dall’antica città di Tharros, costruita dai Fenici su un preesistente villaggio nuragico e ampliata in senso urbano in età punica e poi romana. I materiali fenicio-punici esposti provengono dallo scavo del quartiere artigianale della città e dal tofet al quale riportano le urne e le stele in esposizione. Il percorso museale è arricchito da pannelli didattici relativi alla mostra temporanea ” in piscosissimo mari” . Dal 7 Giugno del 2008 è stata inaugurata la sala dedicata al Relitto di Mal di Ventre e dal 22 Marzo 2014 quella relativa al complesso statuario di Mont’e Prama. Esiste un servizio di visita guidata gratuita. Il museo organizza laboratori didattici di argomento archeologico e naturalistico per scuole di ogni ordine e grado, incontri di studio e convegni. È preferibile la prenotazione per la visita guidata dei gruppi e per i laboratori didattici. Non esistono barriere architettoniche. Il museo raccoglie testimonianze che consentono di ricostruire la storia del territorio, in particolare di Tharros, una delle più antiche città in Sardegna.
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Giovanni Marongiu Civic Museum
Via Tharros
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Il museo è dedicato all’esposizione di reperti archeologici provenienti dal territorio comunale di Cabras nella penisola del Sinis. Il periodo prenuragico e nuragico è documentato dai materiali recuperati con lo scavo del villaggio di Cuccuru is Arrius che ha restituito significative testimonianze a partire dal Neolitico medio. L’età storica è invece ben rappresentata da reperti provenienti dall’antica città di Tharros, costruita dai Fenici su un preesistente villaggio nuragico e ampliata in senso urbano in età punica e poi romana. I materiali fenicio-punici esposti provengono dallo scavo del quartiere artigianale della città e dal tofet al quale riportano le urne e le stele in esposizione. Il percorso museale è arricchito da pannelli didattici relativi alla mostra temporanea ” in piscosissimo mari” . Dal 7 Giugno del 2008 è stata inaugurata la sala dedicata al Relitto di Mal di Ventre e dal 22 Marzo 2014 quella relativa al complesso statuario di Mont’e Prama. Esiste un servizio di visita guidata gratuita. Il museo organizza laboratori didattici di argomento archeologico e naturalistico per scuole di ogni ordine e grado, incontri di studio e convegni. È preferibile la prenotazione per la visita guidata dei gruppi e per i laboratori didattici. Non esistono barriere architettoniche. Il museo raccoglie testimonianze che consentono di ricostruire la storia del territorio, in particolare di Tharros, una delle più antiche città in Sardegna.
Fascino e valore scientifico dell’esposizione impreziosiscono il borgo-gioiello di Laconi. Il museo della statuaria preistorica in Sardegna ospita una collezione unica: 40 monoliti-menhir (perdas fittas in sardo), alcuni giganti, documentano lo sviluppo tipologico delle statue antropomorfe nel III millennio a.C., accompagnandoti alla scoperta di espressioni figurative e simboliche dell’età dei primi metalli nell’Isola e della tradizione megalitica europea. Il percorso museale si articola nei due piani dell’ottocentesco palazzo Aymerich, dimora signorile neoclassica al centro del paese. Dieci sale, con pannelli e supporti multimediali, sono dedicate a statue preistoriche di Sarcidano e territori vicini. L’undicesima espone reperti ceramici, di metallo e in pietra (da Neolitico antico a Bronzo antico), provenienti da siti megalitici, come dolmen di Corte Noa e tomba di Masone Perdu. I 40 menhir, scolpiti nella trachite, sono di tre tipologie: protoantropomorfi, di sagoma ogivale e senza raffigurazioni, antropomorfi assessuati, con tratti somatici del viso, e statue-menhir ricche di dettagli che ne distinguono il sesso. Quelle maschili presentano sopracciglia arcuate e naso pronunciato, oltre ai simbolismi del ‘capovolto’ (legato al culto dei morti) e del doppio pugnale (segno di forza e potere). Forse erano statue dedicate a capi tribù o guerrieri attori di gesta mirabili. Quelle femminili, più piccole, hanno seni conici o a disco piatto. In alcuni casi è rimarcata l’acconciatura dei capelli, come nella statua Genna Palàu I. Particolare è la statua Piscina ‘e Sali III, sotto i seni c’è un basso rilievo: è la cornice di una porta, attraverso cui si viene al mondo o si ha accesso alla vita ultraterrena, motivo riconducibile alla Gran Madre mediterranea. I ritrovamenti più celebri sono quelli di Masone Perdu (allineamento di sette menhir), di Perda Iddocca (otto monoliti) e di Pranu Maore (sei statue). Altri esemplari del museo, che si segnalano per iconografia differente dai menhir sarcidanesi, provengono (tre) dal sito di Pranu Orisa ad Allai, dove giace un cospicuo gruppo multiforme, da Paule Lutùrru di Samugheo, dove il sito di Cuccuru e Lai ha restituito altri frammenti molto interessanti, e dal territorio di Villa sant’Antonio, paesino famoso proprio per le statue-menhir. Terminata la visita al menhir museum, potrai scoprire il borgo bandiera arancione di Laconi e la devozione della sua comunità per sant’Ignazio: casa natale, museo d’arte sacra e parrocchiale a lui dedicata (XV secolo) sono tappe di un intenso percorso. Poi immergiti nel verde del parco Aymerich, a pochi passi dal centro: un giardino di leccete e piante esotiche, intervallate da grotte, cascatine e laghetti attornia i resti di un castello dell’XI-XII secolo.
Museo della Statuaria Preistorica in Sardegna (Palazzo Aymerich)
10 Piazza Marconi
Fascino e valore scientifico dell’esposizione impreziosiscono il borgo-gioiello di Laconi. Il museo della statuaria preistorica in Sardegna ospita una collezione unica: 40 monoliti-menhir (perdas fittas in sardo), alcuni giganti, documentano lo sviluppo tipologico delle statue antropomorfe nel III millennio a.C., accompagnandoti alla scoperta di espressioni figurative e simboliche dell’età dei primi metalli nell’Isola e della tradizione megalitica europea. Il percorso museale si articola nei due piani dell’ottocentesco palazzo Aymerich, dimora signorile neoclassica al centro del paese. Dieci sale, con pannelli e supporti multimediali, sono dedicate a statue preistoriche di Sarcidano e territori vicini. L’undicesima espone reperti ceramici, di metallo e in pietra (da Neolitico antico a Bronzo antico), provenienti da siti megalitici, come dolmen di Corte Noa e tomba di Masone Perdu. I 40 menhir, scolpiti nella trachite, sono di tre tipologie: protoantropomorfi, di sagoma ogivale e senza raffigurazioni, antropomorfi assessuati, con tratti somatici del viso, e statue-menhir ricche di dettagli che ne distinguono il sesso. Quelle maschili presentano sopracciglia arcuate e naso pronunciato, oltre ai simbolismi del ‘capovolto’ (legato al culto dei morti) e del doppio pugnale (segno di forza e potere). Forse erano statue dedicate a capi tribù o guerrieri attori di gesta mirabili. Quelle femminili, più piccole, hanno seni conici o a disco piatto. In alcuni casi è rimarcata l’acconciatura dei capelli, come nella statua Genna Palàu I. Particolare è la statua Piscina ‘e Sali III, sotto i seni c’è un basso rilievo: è la cornice di una porta, attraverso cui si viene al mondo o si ha accesso alla vita ultraterrena, motivo riconducibile alla Gran Madre mediterranea. I ritrovamenti più celebri sono quelli di Masone Perdu (allineamento di sette menhir), di Perda Iddocca (otto monoliti) e di Pranu Maore (sei statue). Altri esemplari del museo, che si segnalano per iconografia differente dai menhir sarcidanesi, provengono (tre) dal sito di Pranu Orisa ad Allai, dove giace un cospicuo gruppo multiforme, da Paule Lutùrru di Samugheo, dove il sito di Cuccuru e Lai ha restituito altri frammenti molto interessanti, e dal territorio di Villa sant’Antonio, paesino famoso proprio per le statue-menhir. Terminata la visita al menhir museum, potrai scoprire il borgo bandiera arancione di Laconi e la devozione della sua comunità per sant’Ignazio: casa natale, museo d’arte sacra e parrocchiale a lui dedicata (XV secolo) sono tappe di un intenso percorso. Poi immergiti nel verde del parco Aymerich, a pochi passi dal centro: un giardino di leccete e piante esotiche, intervallate da grotte, cascatine e laghetti attornia i resti di un castello dell’XI-XII secolo.
La Casa museo di Antonio Gramsci è una casa museo che si trova nel centro storico di Ghilarza, in una modesta abitazione in basalto di fine Ottocento. Antonio Gramsci nacque ad Ales nel 1891 e morì Roma il 27 aprile del 1937, fu uno dei fondatori del Partito comunista italiano, dirigente politico e filosofo tra i maggiori del Novecento. Gramsci visse a Ghilarza, tra il 1898 ed il 1914, essendo Ghilarza il paese della madre. La Casa museo di Antonio Gramsci venne acquistata dal PCI nel 1965 e successivamente divenne sede degli "Amici della Casa Gramsci". Negli anni settanta e ottanta divenne luogo di scambi culturali. Nel 2016 è stata dichiarata monumento nazionale. La Casa Gramsci è oggi fondamentalmente un centro di documentazione e ricerca e sede di attività museali. Vi trova collocazione un itinerario sulla vita di Gramsci in Sardegna, gli studi, compresa l'Università, il pensiero, l'attività giornalistica e politica, la carcerazione e morte. Il museo è articolato in 6 sale: 3 nel piano terra, 3 nel piano superiore, più giardino e saletta. La casa è oggi anche una biblioteca e uno spazio espositivo per mostre temporanee.
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Casa Museo di Antonio Gramsci
57 Corso Umberto
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La Casa museo di Antonio Gramsci è una casa museo che si trova nel centro storico di Ghilarza, in una modesta abitazione in basalto di fine Ottocento. Antonio Gramsci nacque ad Ales nel 1891 e morì Roma il 27 aprile del 1937, fu uno dei fondatori del Partito comunista italiano, dirigente politico e filosofo tra i maggiori del Novecento. Gramsci visse a Ghilarza, tra il 1898 ed il 1914, essendo Ghilarza il paese della madre. La Casa museo di Antonio Gramsci venne acquistata dal PCI nel 1965 e successivamente divenne sede degli "Amici della Casa Gramsci". Negli anni settanta e ottanta divenne luogo di scambi culturali. Nel 2016 è stata dichiarata monumento nazionale. La Casa Gramsci è oggi fondamentalmente un centro di documentazione e ricerca e sede di attività museali. Vi trova collocazione un itinerario sulla vita di Gramsci in Sardegna, gli studi, compresa l'Università, il pensiero, l'attività giornalistica e politica, la carcerazione e morte. Il museo è articolato in 6 sale: 3 nel piano terra, 3 nel piano superiore, più giardino e saletta. La casa è oggi anche una biblioteca e uno spazio espositivo per mostre temporanee.
Il museo Il Museo è alla periferia di Samugheo, centro rinomato per la fiorente produzione tessile, in una nuova costruzione disposta su due piani. Il Museo è nato nel 2002 grazie alla volontà di recuperare e conservare la memoria storica tessile della Sardegna, attraverso il reperimento di manufatti per lo più racchiusi nelle cassapanche delle case del paese. La collezione permanente raccoglie un vasto repertorio di manufatti provenienti da diverse parti dell’isola: si tratta di tovagliati, coperte, lenzuola, biancheria per l’infanzia, biancheria per uso quotidiano, bisacce e teli per la campagna, copricassapanca, abbigliamento per il pastore e costumi tradizionali per le feste. Il piano terra della struttura è dedicato all'organizzazione di mostre temporanee (allestite ogni uno o due mesi ) con le quali si vogliono valorizzare le varietà e le preziosità della tradizione tessile, tramandata ancora di madre in figlia, e rimasta vitale a Samugheo. Perché è importante visitarlo L'attività artigianale tradizionale, un tempo così viva in tutta la comunità sarda, ha subito nel tempo un forte regresso, ma è rimasta vitale a Samugheo. La visita guidata ha, perciò, lo scopo di recuperare e conservare la memoria storica della tradizione tessile di tutta la Sardegna. Tra i pezzi più importanti esposti nel museo troviamo cinque "tapinu ‘e mortu" del Settecento. Si tratta di manufatti tessili funebri piuttosto rari, se si pensa che in tutta l’isola se ne contano solo otto, compresi quelli del museo di Samugheo. Servizi Accessibilità fisica facilitata per visitatori con esigenze specifiche, visite guidate comprese nel costo del biglietto, laboratorio didattico-educativo di tessitura su prenotazione.
MURATS. Museo Unico Regionale Arte Tessile Sarda
Via Bologna
Il museo Il Museo è alla periferia di Samugheo, centro rinomato per la fiorente produzione tessile, in una nuova costruzione disposta su due piani. Il Museo è nato nel 2002 grazie alla volontà di recuperare e conservare la memoria storica tessile della Sardegna, attraverso il reperimento di manufatti per lo più racchiusi nelle cassapanche delle case del paese. La collezione permanente raccoglie un vasto repertorio di manufatti provenienti da diverse parti dell’isola: si tratta di tovagliati, coperte, lenzuola, biancheria per l’infanzia, biancheria per uso quotidiano, bisacce e teli per la campagna, copricassapanca, abbigliamento per il pastore e costumi tradizionali per le feste. Il piano terra della struttura è dedicato all'organizzazione di mostre temporanee (allestite ogni uno o due mesi ) con le quali si vogliono valorizzare le varietà e le preziosità della tradizione tessile, tramandata ancora di madre in figlia, e rimasta vitale a Samugheo. Perché è importante visitarlo L'attività artigianale tradizionale, un tempo così viva in tutta la comunità sarda, ha subito nel tempo un forte regresso, ma è rimasta vitale a Samugheo. La visita guidata ha, perciò, lo scopo di recuperare e conservare la memoria storica della tradizione tessile di tutta la Sardegna. Tra i pezzi più importanti esposti nel museo troviamo cinque "tapinu ‘e mortu" del Settecento. Si tratta di manufatti tessili funebri piuttosto rari, se si pensa che in tutta l’isola se ne contano solo otto, compresi quelli del museo di Samugheo. Servizi Accessibilità fisica facilitata per visitatori con esigenze specifiche, visite guidate comprese nel costo del biglietto, laboratorio didattico-educativo di tessitura su prenotazione.
Il fascino delle antiche concerie lungo le rive del Temo La cittadina di Bosa a fine ottocento e per tutta la prima metà del novecento è stata la capitale delle concerie in Sardegna e in Italia. Unico nel suo genere, il Museo delle Conce di Bosa, rappresenta oggi, un luogo di straordinaria importanza per conoscere tutti i segreti della lavorazione delle pelli. Il Museo delle concerie situato in Via Sas Conzas, a ridosso del fiume Temo, è nato con l'intento di far conoscere l'antico e affascinante lavoro del conciatore, molto diffuso a Bosa, che si è protratto per tutto l'Ottocento, fino al 1962, anno in cui chiuse definitivamente l’ultima conceria. Il museo è stato realizzato in una conceria risalente al 1700,abilmente restaurata, nella quale sono state riportate alla luce, nel piano terra, le originali vasche in muratura, con la classica struttura in pendenza,dotate di canali di scolo aperti, per consentire la loro pulizia ed evitare la fermentazione e l’accumulo del fango. Oggi è possibile camminarci sopra grazie alla creazione di un’apposita pavimentazione in vetro. Le vasche all’interno di una conceria sono un elemento importantissimo, in quanto la prima fase della lavorazione delle pelli avveniva proprio all’interno di esse. Al piano superiore è possibile osservare la struttura stessa della concia, con una fedele riproduzione dell'aspetto originario e scoprire tutti gli attrezzi che si utilizzavano per la lavorazione e la rifinitura, con un importante esposizione di antiche fotografie. Condizioni di lavoro difficili in ambienti dannosi e insalubri. Era questa la situazione del lavoratore di una conceria. Grazie alla visita guidata all’interno del museo si potrà tornare indietro nel tempo e rivivere la complicata situazione lavorativa di questi operai. L'attività conciaria a Bosa che risalirebbe addirittura ai tempi dei Romani, ebbe una riscoperta nel 1600, ma raggiunse il suo apice solo nel 1800. L’importanza e la diffusione di quest’attività venne puntualmente riportata da Vittorio Angius nel Dizionario Angius-Casalis. Egli censisce nel 1834, ventotto conce. Col tempo ci sarebbe stata una progressiva riduzione a partire già dal 1860, fino ad arrivare a quindici concerie nel 1887. Negli anni '20, la modernizzazione dei sistemi di produzione e dei macchinari, riesce a far aumentare la produzione diminuendo notevolmente i tempi di lavorazione e consentendo pertanto di esportare in Italia e nei mercati stranieri, (soprattutto in Francia), i prodotti lavorati. Le pelli utilizzate erano principalmente bovine e i prodotti finiti, una volta lavorati, erano di grandissima qualità, tanto da ottenere degli importanti riconoscimenti nazionali, con due aziende bosane che raggiunsero altissimi livelli: la ditta Mocci-Marras che vinse nel 1896 la Medaglia di bronzo all'Esposizione Nazionale di Torino e le imprese delle famiglie Sanna Mocci e Solinas Ledda, che ottennero nel 1924 un importante riconoscimento, conquistando il Gran Premio e la Medaglia d'Oro nella Fiera Internazionale di Roma. Al di là dell’importanza culturale e della tradizione che oggi riveste il museo, è doveroso porre l’accento anche sulla qualità architettonica di queste antiche costruzioni che rappresentano un bellissimo esempio di architettura proto-industriale. Ancora oggi infatti si possono ammirare questi antichi edifici, lontani dal centro abitato, per via dei cattivi odori prodotti dalle pelli durante la lavorazione. Si tratta di una schiera di piccole case, realizzate con pietre locali, fango e calce, intonacate con una mistura di calce e polvere trachitica, affiancate le une alle altre, che richiamano la struttura delle tipiche abitazioni bosane. Frutto di un ottimo lavoro di restauro dell’800, le facciate si presentano con degli ingressi in trachite e grandi finestre indispensabili per consentire l’areazione delle pelli. Il fascino delle concerie addossate sulla sponda sinistra del Temo, con la loro intramontabile attrazione decadente, dal glorioso passato, sono uno degli elementi più belli e spettacolari di Bosa e un decreto del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali del 17 ottobre 1989, le ha dichiarate Monumento Nazionale. Grazie al Museo delle conce, ogni conceria rivive la sua storia; la rinnova, la ritrova e la conserva e richiama ogni anno centinaia di turisti.
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Museo delle Conce
62 Via Delle Conce
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Il fascino delle antiche concerie lungo le rive del Temo La cittadina di Bosa a fine ottocento e per tutta la prima metà del novecento è stata la capitale delle concerie in Sardegna e in Italia. Unico nel suo genere, il Museo delle Conce di Bosa, rappresenta oggi, un luogo di straordinaria importanza per conoscere tutti i segreti della lavorazione delle pelli. Il Museo delle concerie situato in Via Sas Conzas, a ridosso del fiume Temo, è nato con l'intento di far conoscere l'antico e affascinante lavoro del conciatore, molto diffuso a Bosa, che si è protratto per tutto l'Ottocento, fino al 1962, anno in cui chiuse definitivamente l’ultima conceria. Il museo è stato realizzato in una conceria risalente al 1700,abilmente restaurata, nella quale sono state riportate alla luce, nel piano terra, le originali vasche in muratura, con la classica struttura in pendenza,dotate di canali di scolo aperti, per consentire la loro pulizia ed evitare la fermentazione e l’accumulo del fango. Oggi è possibile camminarci sopra grazie alla creazione di un’apposita pavimentazione in vetro. Le vasche all’interno di una conceria sono un elemento importantissimo, in quanto la prima fase della lavorazione delle pelli avveniva proprio all’interno di esse. Al piano superiore è possibile osservare la struttura stessa della concia, con una fedele riproduzione dell'aspetto originario e scoprire tutti gli attrezzi che si utilizzavano per la lavorazione e la rifinitura, con un importante esposizione di antiche fotografie. Condizioni di lavoro difficili in ambienti dannosi e insalubri. Era questa la situazione del lavoratore di una conceria. Grazie alla visita guidata all’interno del museo si potrà tornare indietro nel tempo e rivivere la complicata situazione lavorativa di questi operai. L'attività conciaria a Bosa che risalirebbe addirittura ai tempi dei Romani, ebbe una riscoperta nel 1600, ma raggiunse il suo apice solo nel 1800. L’importanza e la diffusione di quest’attività venne puntualmente riportata da Vittorio Angius nel Dizionario Angius-Casalis. Egli censisce nel 1834, ventotto conce. Col tempo ci sarebbe stata una progressiva riduzione a partire già dal 1860, fino ad arrivare a quindici concerie nel 1887. Negli anni '20, la modernizzazione dei sistemi di produzione e dei macchinari, riesce a far aumentare la produzione diminuendo notevolmente i tempi di lavorazione e consentendo pertanto di esportare in Italia e nei mercati stranieri, (soprattutto in Francia), i prodotti lavorati. Le pelli utilizzate erano principalmente bovine e i prodotti finiti, una volta lavorati, erano di grandissima qualità, tanto da ottenere degli importanti riconoscimenti nazionali, con due aziende bosane che raggiunsero altissimi livelli: la ditta Mocci-Marras che vinse nel 1896 la Medaglia di bronzo all'Esposizione Nazionale di Torino e le imprese delle famiglie Sanna Mocci e Solinas Ledda, che ottennero nel 1924 un importante riconoscimento, conquistando il Gran Premio e la Medaglia d'Oro nella Fiera Internazionale di Roma. Al di là dell’importanza culturale e della tradizione che oggi riveste il museo, è doveroso porre l’accento anche sulla qualità architettonica di queste antiche costruzioni che rappresentano un bellissimo esempio di architettura proto-industriale. Ancora oggi infatti si possono ammirare questi antichi edifici, lontani dal centro abitato, per via dei cattivi odori prodotti dalle pelli durante la lavorazione. Si tratta di una schiera di piccole case, realizzate con pietre locali, fango e calce, intonacate con una mistura di calce e polvere trachitica, affiancate le une alle altre, che richiamano la struttura delle tipiche abitazioni bosane. Frutto di un ottimo lavoro di restauro dell’800, le facciate si presentano con degli ingressi in trachite e grandi finestre indispensabili per consentire l’areazione delle pelli. Il fascino delle concerie addossate sulla sponda sinistra del Temo, con la loro intramontabile attrazione decadente, dal glorioso passato, sono uno degli elementi più belli e spettacolari di Bosa e un decreto del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali del 17 ottobre 1989, le ha dichiarate Monumento Nazionale. Grazie al Museo delle conce, ogni conceria rivive la sua storia; la rinnova, la ritrova e la conserva e richiama ogni anno centinaia di turisti.